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I Dodici Passi sono un fondamento
per il recupero personale.
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VERRES (Valle d'Aosta) 11 giugno 2005

ALCOLISMO

Dott.Giuseppe Cremonesi

Buongiorno a tutti. Ringrazio il Sindaco, che ci ospita in questa bella sala, l’Assessore, l’Associazione che mi ha invitato e tutti voi che siete qui con grande pazienza ad ascoltarmi.
Prima di iniziare desidero presentarmi. Sono Giuseppe Cremonesi; fino al gennaio 2003 ho diretto l’unità operativa di Medicina Interna dell’ospedale di Chiari; sono quindi un medico internista.
Durante la mia attività professionale ho collaborato per molti anni con le associazioni degli A.A. e Al-Anon per il recupero dei malati alcolisti. Ora, che sono in pensione, continuo a collaborare con le associazioni di mutuo aiuto, che effettuano il programma dei dodici passi. Faccio parte di un gruppo di professionisti italiani, che hanno un rapporto di collaborazione con queste associazioni.
Stasera io sono qui a fare informazione sull’alcolismo.
Cominciamo con la definizione di alcolismo. La prima definizione che vi propongo è quella riportata dal Cecil Textbook, il più famoso libro americano di consultazione di Medicina Interna:
l’alcolismo è una sindrome da farmacodipendenza dovuta ad uso eccessivo e prolungato di etanolo.
Questa definizione, che è quella ufficiale, è chiara e non si presta ad equivoci. Essa ha il limite di fissare l’attenzione solo sui malati che sono giunti negli stadi più avanzati e quindi più gravi della malattia alcolica.
Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali dell’APA (associazione degli psichiatri americani) invece prevede due gradi di malattia; esso fa distinzione tra abuso e dipendenza.

L’abuso:

La dipendenza:

Anche l’OMS prevede due gradi di malattia e fa una distinzione tra:

a) abitudine al bere e b) tossicomania.

In queste classificazioni si pone l’attenzione anche su malati meno gravi, ma il titolo di alcolista è riservato comunque solo ai malati che hanno la dipendenza fisica da alcol.
Se noi invece andassimo ad una riunione aperta di A. A., potremmo ascoltare testimonianze di questo tipo: “Quando io iniziavo a bere, mi scattava la compulsione”. Oppure anche: “Quando bevevo il primo bicchiere di vino, dopo non riuscivo più a fermarmi”. In certi passi della letteratura di A.A. si parla di “bere obbligatorio”. Si può anche leggere “incapacità della persona a governare il proprio bere”. Tutte queste espressioni hanno lo stesso significato e stanno ad indicare che una persona che ha la malattia alcolica, non è capace di assumere alcol con moderazione. Tutte le volte che ella comincia a bere finisce dunque col bere troppo. La mancanza di moderazione è il sintomo fondamentale della malattia alcolica. Esso è l’unico sintomo sufficiente ed indispensabile per porre diagnosi di malattia alcolica e ontemporaneamente è la causa che porta all’abuso e che quindi innesca il meccanismo che porterà col concorso di altre e numerose concause a tutti i quadri patologici della malattia da alcol.
Da questo discorso ne consegue che “l’alcolista è la persona che non è capace di bere alcol con moderazione”. Gli alcolisti anonimi chiamano alcolista ogni persona che ha questo sintomo in qualunque stadio della storia naturale della malattia alcolica la persona si trovi.
Questa definizione ha un valore operativo importante; ci permette di indirizzare i nostri interventi a tutti i malati e non solo a quelli giunti negli stadi più avanzati della malattia.

Flaviano, un A. A. mio amico morto nel 1991, nel suo libro “ALCOLISMO ANNO ZERO” ha lanciato questo messaggio: “La persona nasce ammalata di alcolismo; ’evidenza si ha solo con l’incontro della bevanda alcolica; in tal caso si evidenzia la mancanza di moderazione.
La mancanza di moderazione precede il bere anzi è la causa dell’abuso non la conseguenza
”.
La mia idea della malattia, anche se con minore rigidità, concorda oggi abbastanza bene con quella che aveva il mio amico.

Due sono dunque gli aspetti della malattia:

Dal punto a) si ha come conseguenza operativa che tutti gli alcolisti, per recuperare la sobrietà o per conservarla, devono sospendere del tutto e per sempre la bevanda alcolica. Su questo punto tutti gli operatori, almeno i più seri sono d’accordo. Lo ribadisco anch’io: un alcolista non deve assumere mai le bevande alcoliche. Ripeto una persona, una volta scopertasi alcolista, non deve assumere mai più alcol.

Sul punto b) invece non vi è accordo. Alcuni pensano, come me e come gli A. A., che la malattia è primariamente nella persona. La maggior parte però pensa che la sorgente della malattia è invece primariamente nella sostanza, cioè nell’alcol. Da questa seconda affermazione ne conseguirebbe che tutti coloro che assumono alcol, anche in quantità considerate moderate, possono diventare alcolisti.
Per quanto riguarda la salute è stato introdotto il concetto di comportamento a rischio. Il pericolo di danno alla salute ci sarebbe sempre, ma aumenterebbe in modo sensibile, qualora vengano superate certe quantità.
Naturalmente non è possibile dare dei valori precisi ai quali attenersi. Dipende molto dalla costituzione individuale, dalla capacità di metabolizzare l’alcol, ma anche dal tipo di lavoro più o meno pesante o dal tipo di attività fisica. Si possono quindi dare dei valori medi. Si raccomanda ad un uomo maschio di non superare ogni giorno i quattrocento millilitri di vino; ad una donna invece si raccomanda di non superare i trecento millilitri al giorno. Tutte le bevande alcoliche sono uguali per gli effetti dell’alcol; non ce ne è una più buona od una più cattiva. La differenza è nella concentrazione alcolica. Per comodità si è introdotta l’unita alcolica, che gli autori anglosassoni chiamano drink. Essa corrisponde a 125 ml di vino oppure a 333 ml di birra oppure a 30 ml di un superalcolico; più semplicemente un bicchiere di vino, una lattina di birra, un bicchierino di superalcolico. Le dosi pressappoco corrispondono. Un uomo quindi potrebbe bere tre drink al giorno, una donna due. Noi parliamo di valori medi. Se un giorno un uomo avesse bevuto quattro unità invece di tre, il giorno successivo ne potrebbe bere due. Così via. Vengono considerati comportamenti rischiosi l’assunzione di più di ventuno unità alcoliche alla settimana per l’uomo e quattordici per la donna. E’ importante però vedere anche in quanto tempo si assumono i drink:una persona che bevesse anche solo 14 drink alla settimana, ma tutti in una volta sola, ad esempio quando va allo stadio, evidenzierebbe già di non sapersi moderare. Questo comportamento operativo può essere accettato anche da chi crede che la mancanza di moderazione preceda il bere alcol; in questo caso il superamento delle quantità consigliate, invece che essere considerato comportamento a rischio, può essere ritenuto come la evidenza della mancanza di moderazione e quindi interpretato come presenza di alcolismo. In tutti e due i casi, sia che venga interpretato come comportamento a rischio, sia che venga ritenuto sintomo di alcolismo, la constatazione di una assunzione eccessiva impone come scelta operativa che questa persona, che non sa bere con moderazione, sospenda del tutto e per sempre l’assunzione di alcol.

Passiamo ora a trattare la storia naturale della malattia alcolica.
Alla nascita sono presenti quei geni che predispongono all’alcolismo. I fattori genetici causano diminuzione dei mediatori chimici (dopamina) o alterazione dei loro recettori e questo provoca alterata funzione del sistema limbico del cervello.
Che cosa intendiamo per gratificazione? Essa è un piacere psicologico, che l’individuo prova davanti a stimoli fisiologici, psicologici o sociali. Esempi di gratificazione sono:

  1. bere acqua per un uomo assetato
  2. una bella pagella del figlio
  3. un elogio di un superiore
  4. la vittoria della propria squadra del cuore.

L’alcol, come tutte le altre droghe, stimola l’area limbica e fornisce al soggetto quella gratificazione, che egli normalmente non è in grado di percepire.
La persona dopo la nascita per molti anni non beve alcol e pertanto appare normale. Possiamo ora dire che una persona, anche portatrice delle mutazioni genetiche che predispongono all’alcolismo, per tutto il tempo che non incontra la bevanda alcolica, non evidenzia la sua malattia. Questo stato può durare tutta la vita e questa persona potrebbe anche morire in tarda età senza mai sapere, né lui né altri, che è ammalato. Però nella nostra società è più probabile che prima o poi l’incontro con la bevanda alcolica avvenga. Mancando la moderazione, la persona beve troppo. Questa eccessiva assunzione può interessare ogni singolo episodio con ebbrezza oppure l’ebbrezza può mancare, ma il soggetto assume costantemente eccessive quantità di alcol. Continuando a bere, per il senso di gratificazione che il soggetto prova, egli sviluppa una dipendenza psicologica che ora viene definita primaria. Cosa intendiamo per dipendenza psicologica? Potremmo definirla con una parola come
desiderio, affetto, tentazione, ricerca o aspirazione. Possiamo anche dire che essa è il ricordo piacevole di un’avventura che si desidera rivivere. Tornando alla storia naturale, provate a pensare alla drammatica situazione in cui viene a trovarsi in questo momento il malato. Egli ricerca e desidera l’alcol e nello stesso tempo, quando lo assume, non sa moderarsi. Egli aumenta sempre di più l’assunzione di alcol. L’alcol assunto continuativamente in quantità elevate, induce a questo punto delle modificazioni nell’organismo. Per impedire o diminuire questi effetti, l’organismo a sua volta mette in atto dei meccanismi correttivi.. Questi meccanismi portano al fenomeno della tolleranza. Tolleranza vuol dire che a parità di introduzione di alcol gli effetti sono minori; oppure, se preferite, per avere gli stessi effetti di prima, è necessario introdurre una quantità superiore di alcol. La tolleranza è una faccia della medaglia, l’altra faccia è la dipendenza. In caso di sospensione acuta, improvvisa dell’alcol i meccanismi che l’organismo aveva messo in atto per difendersi, ora agiscono liberamente, non più bilanciati dalla presenza dell’alcol. Sono essi che
provocano i sintomi dell’astinenza. I fenomeni dell’astinenza possono essere lievi, cioè tremori, ansia ed agitazione; possono essere più gravi, cioè allucinazioni e disorientamento; possono essere gravissimi, cioè dare il quadro del delirium tremens, parole latine che io amo tradurre con delirio terrificante. Il malato in ogni caso sta male e talvolta le sofferenze sono grandissime. Il paziente, superata la crisi di astinenza, ricorda con paura le sofferenze avute e ricorda anche la gratificazione
che gli da l’assunzione della bevanda alcolica; questo aumenta ulteriormente la dipendenza psicologica, che ora viene chiamata secondaria ed è dovuta a due rinforzi: il primo è il desiderio di provare gratificazione, il secondo è la paura delle sofferenze. Questo stadio si chiama di dipendenza psicologica secondaria. Soprattutto in questa fase il malato sperimenta la compulsione, cioè il bisogno irrefrenabile di bere. Attenzione! Questa è la stessa parola detta all’inizio, ma in medicina, come vedete, ha un significato diverso. Compulsione alcolica per A. A. significa mancanza di moderazione, incapacità di fermarsi, quando si comincia a bere alcol; per i medici invece essa significa bisogno irrefrenabile di bere. In inglese il termine compulsione si dice craving. Secondo l’OMS il craving è il desiderio incontrollabile di sperimentare gli effetti di una sostanza psicoattiva usata in passato. In passato si riteneva espressione solo della sindrome di astinenza; oggi si pensa che essa possa anche comparire ad uno stimolo evocante la sostanza oppure persino a cielo sereno.

In una tale situazione, se al malato viene impedito di bere, egli può diventare violento. Egli farebbe ogni cosa pur di procurarsi l’alcol; se non lo trovasse potrebbe bere alcol denaturato, profumo o benzina. Torniamo alla storia naturale della malattia alcolica. Il malato che è arrivato alla dipendenza secondaria, è ormai nelle fasi più avanzate della malattia. Ora egli evidenzia lo stereotipo dell’alcolista. Le immagini che la gente ha di lui sono quelle di un uomo perennemente ubriaco, patetico e innocuo oppure turbolento e aggressivo.

Abbiamo percorso sulla sinistra del lucido tutta la storia del malato di alcolismo. Dobbiamo a questo punto porci una domanda. A che punto del percorso possiamo definire la persona alcolista?
Guardiamo la colonna di destra. L’immaginario collettivo, l’uomo della strada per intenderci, ritiene che alcolista sia solo la persona giunta all’ultimo stadio del suo cammino. E’ forse per questo che nessuno vuol mai riconoscersi alcolista. Secondo gran parte degli addetti ai lavori invece si deve parlare di alcolismo, quando è presente la dipendenza fisica. E’ qui che la definizione del Cecil Textbook colloca l’alcolismo. In realtà i problemi per il malato cominciano ancora prima, cioè quando si manifesta la dipendenza psicologica. Quando si parla di abuso senza dipendenza o di bere problematico siamo ancora in questo stadio. Io amo chiamare questo stadio “alcolismo clinico”, in quanto è da qui che il malato comincia ad avere bisogno del medico o dello psicologo o dell’assistente sociale. E’ qui lo spartiacque tra un prima in cui la persona ha una vita normale e un dopo in cui ha bisogno di cure. In linea col patrimonio culturale di A. A. l’alcolismo inizia ancora prima: esso è già presente alla nascita. Una persona può essere definita alcolista anche se non ha mai bevuto alcol in tutta la vita. Io ho chiamato questa situazione in cui sono presenti i fattori genetici che poi porteranno all’alcolismo, col termine di alcolismo costituzionale. Reputo troppo grave la malattia alcolismo per perdere tempo ed energie in discussioni inutili e sterili. Ciascuno può definire l’alcolismo come meglio crede; per capirsi tra interlocutori è importate sempre precisare a quale punto della storia naturale una persona faccia riferimento.
L’abuso alcolico da origine ad una serie di patologie. Le possiamo suddividere in:


A queste vanno aggiunte:

Nell’espressione e nel decorso di queste patologie concorrono altri fattori genetici e fattori ambientali, che rendono varia e complessa tutta la malattia.
Da rimarcare anche che durante il suo percorso la malattia non resta confinata nella persona dell’alcolista, ma si estende intorno a macchia d’olio e diventa malattia sociale. L’abuso alcolico crea conflitti sul lavoro,ma anche col marito o la moglie, coi figli, con altri parenti, con gli amici, coi vicini. I comportamenti dell’alcolista disturbano le persone che ha intorno, per cui esse cambiano i loro comportamenti e creano fastidio all’alcolista il quale peggiora i suoi comportamenti e così via. La malattia diventa quindi della coppia, della famiglia, del parentado, del vicinato.
Cosa possiamo fare per questa malattia?
Il primo intervento da fare è l’informazione. Ribadisco qui che una persona che non sa moderarsi deve sospendere del tutto e per sempre le bevande alcoliche. Una raccomandazione particolare ai giovani: non bevete prima dei sedici anni. Prima di allora il cervello non è maturo e l’alcol, interferendo nel metabolismo cerebrale, potrebbe danneggiare la sua maturazione. Quando è comparsa la dipendenza psicologica, la sola informazione non è più sufficiente. A questo punto è necessario cambiare lo stile di vita ed avere il sostegno di un aiuto esterno. Io consiglio molto la frequentazione degli A. A., ove sarà possibile un cammino sui dodici passi che aiuti l’alcolista nel recupero della propria personalità e nel favorire una crescita spirituale. Altre situazioni patologiche possono richiedere l’intervento di più figure professionali. E’ importante che ciascuna di esse agisca nel proprio campo e sia rispettosa della scelta del malato e non interferisca, contrastandoli, negli altri programmi che il paziente sta seguendo.
L’alcolismo è anche una malattia della famiglia. Tutti i suoi membri possono vivere un disagio e quindi avere bisogno di aiuto. Per loro opera l’associazione Al-Anon. Frequentando un gruppo di Al-Anon, anch’essi possono fare un cammino di recupero basato sul metodo dei dodici passi.
Quello che vorrei che fosse chiaro è che la frequentazione dell’Al-Anon non è primariamente finalizzata al recupero dell’alcolista. Nessuno smette di bere per fare un favore ad un altro. Pochi coraggiosi smettono di bere per fare un favore a se stessi. I familiari quindi frequentano i gruppi Al-Anon per curare se stessi, perché loro sono malati, perché loro sono bisognosi di cure. Giunti al gruppo, fanno il primo passo, cominciano a prendere coscienza della loro situazione ed iniziano il cammino del loro recupero. La frequentazione del gruppo è utile quando l’alcolista è attivo. Spesso la frequentazione è ancor più utile, quando l’alcolista sia recuperato alla sobrietà, perché questo fatto può portare degli sconvolgimenti nei rapporti familiari ormai consolidati. Tutto quanto detto non significa che il familiare debba abbandonare al proprio destino l’alcolista. Frequentando il gruppo, il familiare impara a conoscere che cos’è l’alcolismo; gli viene insegnato quali sono i comportamenti utili e quelli da evitare per non irritare ulteriormente il proprio congiunto alcolista.

Questo per una via indiretta può essere utile a lui. Spesso egli che ormai conduce una vita che gli sembra insostenibile, dalla frequenza del familiare all’Al-Anon prende il motivo per fare una contemplazione sulla propria situazione personale e da qui per prendere la decisione di cambiare stile di vita e smettere di bere.

Alla fine aggiungo ancora un punto: la credibilità. Quando faccio informazione, mi chiedo sempre:
“Quanti sono disposti ad ascoltarmi e a dare credito alle mie parole?” Questo è ancor più importante, quando parlo ai giovani.
Prima di terminare desidero affidarvi alcuni messaggi:

Raccomandazioni particolari:

Questa conferenza di informazione sull’alcolismo è stata tenuta dal dott. Giuseppe Cremonesi il giorno 11-11-2005 a Verrès, (Valle d’Aosta) in collaborazione con le associazioni A. A. ed Al-Anon.

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