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I Dodici Passi sono un fondamento
per il recupero personale.
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Senigallia 4 novembre 2005

ALCOLISMO ANNO ZERO

Dott.Giuseppe Cremonesi

Ho conosciuto Flaviano circa a metà degli anni ottanta. Siamo subito diventati amici. Egli si è impegnato a fondo per insegnarmi la ”verità” sull’alcolismo e correggere tutti i miei pregiudizi. Con qualche difficoltà e con un po’ di tempo è riuscito a fare breccia nel castello d’avorio della mia ignoranza ed a trasmettermi dei concetti che sono stati utili ad iniziare la mia attività di collaborazione con gli A.A.. Non sempre però sono stato un allievo modello; molte idee proprio non volevano entrarmi in testa. In particolare egli negava l’esistenza della dipendenza; questo ci collocava su due rive opposte senza possibilità di trovare un accordo. Dopo anni di discussione, nell’estate del 1991 ho cominciato ad avere un barlume di luce: ho capito che, quando discutevamo di dipendenza, pensavamo a due cose diverse. Io pensavo: “Chiunque abusi di alcol, può acquisire la dipendenza”. Flaviano invece pensava: “Chi non è alcolista, non è in grado di abusare di alcol.

Quando lo incontrai nel settembre di quell’anno, poco prima che morisse, glielo dissi: “Ho capito che quando discutiamo di dipendenza, abbiamo in mente due cose diverse ed è per questo che non riusciamo a metterci d’accordo; un giorno riuscirò a capire qual è la tua idea di dipendenza.”

Continuammo poi la nostra discussione. Ad un certo punto io gli dissi: “Oggi le idee che tu ed io abbiamo sull’alcolismo, ci sembrano giuste, ma è possibile che tra dieci anni siano tutte superate o contraddette; questo non diminuirà il valore del tuo impegno, perché avrai sempre il merito d’avere aperto una strada nuova per conoscere questa malattia”. Egli rimase interdetto; dapprima offrì una buona resistenza, poi si lasciò convincere ad accettare la mia opinione, però con un ma. Egli ribadì: “Ma l’alcolismo sarà sempre una malattia!”

Ora dire che l’alcolismo è una malattia, può sembrare un’affermazione banale, ma per Flaviano il concetto di malattia aveva un significato particolare: egli riteneva infatti la malattia l’opposto del vizio. Preciso meglio il suo pensiero. Il vizio è un comportamento scelto dalla persona la quale, sia pure con qualche difficoltà e grande impegno, è in grado di modificare le proprie azioni ed evitare quindi gli effetti. La malattia è una cosa non voluta che la persona non può evitare e che, per quanti
sforzi faccia, non è in grado in nessun modo di modificare.

Spiegato questo, appare chiaro che quel giorno Flaviano solo in apparenza si lasciò convincere, ma che in realtà continuò a proporre la sua opinione. Infatti questo era il compendio del pensiero di Flaviano: “L’ALCOLISMO E’ UNA MALATTIA CARATTERIZZATA DALL’IMPULSO COMPULSIVO; esso è la esecuzione di UNA AZIONE OBBLIGATORIA…(pag. 92)”.

Il libro “Alcolismo Anno Zero” va considerato un libro a tesi in cui egli cerca in ogni modo di dimostrare la verità della sua opinione. Flaviano, per dimostrare il suo assunto, usa argomenti religiosi, filosofici, spirituali e pseudoscientifici, mescolati tra loro e spesso confusi; il tutto è condito con un tono molto polemico.

Noi dobbiamo avere ben presente che Flaviano non era un medico e che quindi, quando parlava di argomenti medici, non ne aveva la giusta competenza e che per questo faceva confusione. Egli usava i termini scientifici con un significato spesso diverso da quello abituale. Pertanto, per essere comprese, le sue parole vanno tradotte. La prima traduzione da fare è quella di COMPULSIONE ALCOLICA che non ha nulla a che vedere col craving, ma corrisponde alle parole BERE SENZA MODERAZIONE, espressione che io preferisco. Egli la definisce anche bere obbligatorio. In parole più semplici noi possiamo dire: “Quando un alcolista inizia ad assumere bevande alcoliche, egli non è più in grado di fermarsi”. Questo è tutto il messaggio di Flaviano: “La persona nasce ammalata d’alcolismo. L’evidenza si ha solo con l’incontro della bevanda alcolica; in tal caso scatta la compulsione alcolica, ossia il bere senza moderazione. La mancanza di moderazione (cioè l’incapacità di fermarsi ) precede il bere, anzi è la causa dell’abuso non la conseguenza”.

Io, dopo la morte di Flaviano, ho impiegato più di 10 anni per capire la sua ostilità al concetto di dipendenza. Noi sappiamo che la tolleranza è l’altra faccia della medaglia della dipendenza. Egli nel libro chiama la tolleranza col nome di assuefazione; naturalmente ne nega l’esistenza, però poi di fatto sembra ammetterla (L’organismo umano ha grande capacità di adattamento ed è quindi ovvio che può adattarsi anche alle bevande alcoliche. Tutti sanno che i primi contatti sono difficili…, ma poi l’organismo piano piano “impara” a tollerarle; pag. 69). Lo stesso discorso vale anche per l’astinenza. Questo passo del libro è particolarmente confuso; per comprenderlo a pieno bisogna tenere presente che tutto è finalizzato a dimostrare che la dipendenza, quella che aveva in mente lui, non esiste. Infatti Flaviano aveva un’idea tutta sua della dipendenza: egli pensava che acquisire la dipendenza significasse acquisire la malattia. Ma Flaviano pensava: “L’alcolismo è una malattia congenita e non può essere acquisita”. Pertanto affermava: “La dipendenza non esiste”.

Perché era così importante per Flaviano riconoscere che il sintomo fondamentale della malattia, cioè la mancanza di moderazione, fosse presente prima di incontrare la bevanda alcolica?

Ecco egli sosteneva con energia che un alcolista che vuole recuperare la sobrietà, deve sospendere del tutto e per sempre le bevande alcoliche. Egli aveva quindi una forte esigenza operativa. Questo non era il solo motivo; per Flaviano ve n’erano altri e più importanti. Il primo e più grave motivo era quello d’avere un argomento valido per togliere il senso di colpa all’alcolista. (L’alcolismo, a mio parere, è una malattia congenita e quindi non hai alcuna ragione di vergognartene o di nasconderla; tu non hai alcuna responsabilità per questa malattia... pag. 169). Un secondo motivo era quello di zittire le condanne dei benpensanti. (…è il tentativo dei “buoni” di redimere i“cattivi.” pag. 137). Un terzo motivo era quello di vincere i pregiudizi. (Purtroppo il “vizio di bere” è stigmatizzato da pregiudizi millenari e non sarà facile estirparli dalla mente di molti operatori sanitari e sociali. pag. 137). Infine un quarto motivo era quello di inculcare il rispetto per la dignità della persona dell’alcolista. Questo spiega anche l’ostilità assoluta che Flaviano aveva per qualunque metodo di recupero che non rispettasse la libertà della persona o peggio implicasse la schedatura degli alcolisti. Oggi, dopo quattordici anni, che cosa resta di vero nel messaggio di Flaviano? Gli studi di genetica, quella genetica che egli non amava, gli studi di neurofisiologia e di biochimica sembra che confermino la tesi da lui sostenuta: …LA MALATTIA ALCOLISMO PRECEDE IL FATTO DI BERE… (pag. 78).

Flaviano ha espresso una speranza: “Spero soltanto che qualcuno più autorevole di me accolga, almeno in parte, le mie opinioni e se ne faccia paladino; potrebbe essere l’inizio di un ripensamento e forse la salvezza per molti (pag. 35)”. Il gruppo Focus sui 12 passi tra le sue attività ha anche quella di far conoscere la parte più valida del patrimonio culturale di Alcolisti Anonimi.

Relazione tenuta dal dott. Giuseppe Cremonesi a Senigallia il 4 novembre 2005

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