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I Dodici Passi sono un fondamento
per il recupero personale.
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Errori nell'invio di un paziente con problemi e patologie alcol-correlate (PPAC) ad A.A.; esperienze in un reparto di Medicina Interna.

Prof. Gaspare Jean

La terapia di qualsiasi paziente con una malattia cronica non dovrebbe esaurirsi nella prescrizione di farmaci ma dovrebbe comprendere elementi di educazione sanitaria tali da permettere una buona autogestione della propria malattia (d’Ivernois, 2004); ad es. un paziente con scompenso cardiaco dovrebbe essere istruito a dosare i diuretici in base alle variazioni del peso, alla  comparsa di edemi, all’aumento della dispnea, ecc., nonché rispetto al rapporto contesto ambientale e sociale e sua malattia.

Analogamente  una persona con PPAC  deve ricevere un trattamento integrato medico e psicosociale; in un paziente indirizzato ad un servizio internistico, come si inizia?

Sia nei trattamenti ambulatoriali che ospedalieri bisogna affermare chiaramente che nessuno riesce a interrompere il potus da solo; solo coll’aiuto di altri è possibile restare astinenti e, successivamente, sperimentare quelle modificazioni comportamentali (Jean, 2010) che AA definisce come “sobrietà”.

La letteratura medica è chiara: pur non essendoci dimostrazioni che un tipo di aiuto sia superiore ad un altro (vari gruppi di self-help, differenti indirizzi in psicoterapie di gruppo) le recidive sono maggiori nei pazienti  sottoposti a terapie  individuali (Zimberg 1984; Humphreys, 2008).

L’esperienza qui descritta vuole essere  una riflessione sui possibili errori che si possono fare nella collaborazione tra operatori sanitari e gruppi di AA (o altri basati sulla metodologia dei 12 passi).

IMPRECISIONE. E’ necessario dare informazioni chiare (indirizzi dei gruppi, numeri telefonici, orari di riunione); il paziente infatti ha notevole resistenza a curarsi con metodi “non farmacologici”;  nell’alcolista queste resistenze possono essere gradualmente vinte coll’appoggio dei familiari che possono frequentare i gruppi AlAnon anche indipendentemente dalla frequenza dell’alcolista (Jean, 2001; Humphreys 2008). 

NON SUSCITARE INTERESSE. E’ un errore pensare di poter convincere un paziente con PPAC  a curarsi con/anche con  i gruppi AA; la convinzione dell’importanza dei gruppi anonimi nel trattamento richiede tempo .

 Uno dei metodi più efficaci è quello di dire al paziente che sarà contattato da un membro di AA attualmente sobrio  (analogamente per AlAnon  per i familiari), sottolineando che:

  1. Anche il medico è “impotente” nei confronti dell’alcol;

  2. Non ritenendosi “alcolista”  il medico non sa parlare ad un alcolista con la stessa persuasività di un alcolista non attualmente attivo;

  3. L’ incontro con un membro di AA permette di chiarire alcuni problemi legati al sua stato patologico, che non sono solo medici, ma familiari, legali, economici, ecc..

Ritengo che questo modo di comportarsi eviti al curante sia un eccessivo impiego di tempo sia di affrontare problematiche psicosociali di cui raramente un internista è esperto; d’altra parte, anche l’avvio del paziente in un servizio sanitario che tratta esclusivamente problemi di dipendenza presenta le stesse difficoltà a cui può aggiungersi  la mancanza di anonimato.

RAPPORTI NON CORRETTI TRA OPERATORI E GRUPPI

Gli operatori dei servizi pubblici che trattano persone con PPAC hanno spesso conoscenze solo superficiali dei gruppi anonimi che affrontano le dipendenze colla metodologia dei 12 passi; le incomprensioni più tipiche sono riferibili alle differenze che esistono tra chi ha una cultura  basata sullo studio e di chi trae la propria cultura dalla sua esperienza di dipendente;  in particolare  gli operatori tendono ad assumere il ruolo di “supervisore”  dei gruppi anonimi, senza assimilarne i fondamenti (ad es. dipendenza come “malattia”, “toccare il fondo”).

Cinzia Albanesi (2004) ha riassunto le principali differenze tra cultura sanitaria e cultura del self-help; in sintesi:

a) gli operatori enfatizzano conoscenze specialistiche che tendono a considerare il dipendente come paziente, come persona deprivata di alcuni attributi di normalità, che deve accettare i protocolli diagnostici e terapeutici del servizio;  il cambiamento è individuale.  

b) i gruppi di self-help agiscono pensando  che  le persone con dipendenza siano portatrici di risorse, di qualità umane che devono aprirsi alla speranza, alla fiducia, alla solidarietà; il cambiamento più che individuale avviene nel rapporto dipendente e suo contesto di vita: famiglia, amicizie, lavoro, altre persone “ancora nel problema”.  Infine va sottolineato che i gruppi dei 12 passi pensano che le dipendenze non sono solo patologie che interessano la sfera bio-psico-sociale ma anche quella spirituale; questo concetto appare difficilmente inquadrabile in una visione professionale del fenomeno, anche se attualmente la dimensione spirituale viene utilizzata sempre più in medicina (vedi cure palliative).

Infine non va sottaciuto che in molti servizi esiste il timore che il proprio ruolo sia messo in discussione e l’opinione che i gruppi anonimi creino una dipendenza dal gruppo; per AA la partecipazione di lunga durata  sta invece a significare che alcune persone ritengono che la propria maturazione spirituale duri tutta la vita.

ERRORI DURANTE LA FREQUENZA AI GRUPPI

Dalla letteratura di AA:

  1. La frequenza ai gruppi AA si basa sulla attrazione e sul desiderio di smettere di bere; AA quindi non fornisce le motivazioni iniziali a curarsi né sollecita i membri a continuare la frequenza per evitare ricadute; la sensibilizzazione al trattamento sia nella fase iniziale che di mantenimento è quindi compito degli operatori sanitari.

  2. AA si occupa (preoccupa) di alcolisti, non di alcolismo; le 12 tradizioni indicano che AA non sposa alcuna ipotesi scientifica. Da qui le difficoltà che gli operatori hanno per coinvolgere i gruppi in ricerche clinico-statistiche necessarie a meglio convalidare la metodologia basata sui 12 passi  presso la comunità scientifica.

  3. I gruppi AA non applicano psicoterapie; non dovrebbero quindi esserci controindicazioni ad eventuali trattamenti psicoterapici contemporanei alla frequenza. A questo proposito, Zimberg (1984) sostiene che nell’alcolismo le psicoterapie individuali non sono efficaci per raggiungere la sobrietà, ma successivamente. L’intervento dei gruppi anonimi deve essere considerato prevalentemente risocializzante.

  4. Analogamente è sbagliato rivolgersi ai gruppi per avere assistenza sociale, economica, legale, spirituale, familiare; i trattamenti integrati medico-psico-sociali dei servizi possono intervenire in questi settori direttamente o indirizzando i pazienti ad altri servizi territoriali.

CONCLUSIONI

In questo contributo vuole sottolineare alcuni errori che possono verificarsi nella conduzione del trattamento di persone con dipendenze inviate ai gruppi anonimi; questi possono verificarsi tanto nella fase iniziale di motivazione a curarsi quanto durante la frequenza ai gruppi.

Molti di questi errori sono evitabili se si riesce a creare una stretta collaborazione tra servizi di alcologia dotati di una équipe multidisciplinare medico-psico-sociale e gruppi AA.

Alla base di questa interazione collaborativa sta naturalmente il rispetto delle rispettive autonomie: i gruppi devono evitare di criticare gli orientamenti terapeutici dei servizi (vedi ad es. uso del disulfiram) e  i servizi evitare di interferire coi principi fondanti il metodo dei 12 passi (dipendenza come malattia, spiritualità, anonimato, attrazione e non coercizione nella frequenza, ecc.)

Infine va sottolineato che un utilizzo corretto dei gruppi  permetterebbe ai servizi sanitari di risparmiare tempo e denaro, riservando così interventi più costosi ad una casistica selezionata.                   

BIBLIOGRAFIA

D’Ivernois J.F. – L’educazione terapeutica del paziente; un  nuovo rapporto tra medici e pazienti.
Medic, 12, 57-59, 2004.

Jean G. – Alcolisti Anonimi e cambiamento degli stili di vita.
Prospettive Sociali&Sanitarie, 40 n.5,18-21,2010.

Zimberg S –La cura clinica dell’alcolismo.
Manuali Ferro di Medicina, vol. XIV, Milano, 1984.

Humphreys K.  Comunicazione Convegno “Focus 12 passi”, Alessandria 2008.

Jean G. – I gruppi AlAnon/Alateen, perno del recupero della famiglia dell’alcolista.
Atti 25° AlAnon-Alateen-Italia, Bari, 31.3.2001.

Albanesi C. – I gruppi di auto-aiuto.
Ed. Carocci, Roma 2004, pag. 69-73.

Prof. Gaspare Jean   (Milano, Via M..Melloni 68)   rinpaola@tiscali.it



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